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Sesto giorno prima delle Idi di giugno
Padrone... - Paride attendeva educatamente sulla soglia. - Sono arrivate le risposte da Bononia, dove posso metterle?
- Posa le missive nel mio studio, Paride. A proposito: come mai non mi avevi riferito la visita dell'architetto della mia villa di Pithecusa?
Paride diventò tutto rosso e abbassò gli occhi: - Devo averlo dimenticato, domine... - confessò, confuso.
Aurelio lo guardò con meraviglia. La memoria dell'intendente era proverbiale: in anni e anni di servizio, il puntiglioso amministratore non aveva mai scordato il benché minimo particolare.
- Di', non ti sembra un po' strano, Paride, negli ultimi tempi? - chiedeva poco dopo a Castore. - Sembra quasi che abbia altri pensieri per la testa; speriamo che non sia malato, non so come farei senza di lui!
Il greco inghiottì senza dare a vedere la lusinghiera considerazione nei confronti dell'intendente. Opposti per temperamento e inclinazione, Castore e Paride, pur al servizio dello stesso dominus, si consideravano infatti eterni rivali.
- Posso aiutarti a esaminare quelle due o tre missive? - chiese il segretario, al fine di riguadagnare il terreno perduto.
È sempre bene offrirsi volontario nei lavoretti brevi e leggeri, aveva come regola Castore, per evitare poi quelli lunghi e pesanti. Una rapida scorsa a un paio di lettere col padrone, e avrebbe potuto prendersi l'intera giornata di libertà.
- Se proprio vuoi... - accettò il patrizio con gratitudine.
Lo studiolo in cui Aurelio amava ritirarsi in solitudine, a meditare le opere dei suoi prediletti filosofi epicurei, dava sul peristilio, nella parte più tranquilla della domus.
- Numi dell'Ade! - esclamò il patrizio, spalancando la porta. Castore sbarrò gli occhi, allibito: centinaia e centinaia di rotoli sigillati invadevano il tavolo, i seggi, le scansie, il busto di Epicuro, e persino una larga parte del pavimento.
- Per Efesto! Meno male che ti sei offerto di aiutarmi, Castore... e pensare che stavo per darti la giornata libera!
Con un singulto represso, il segretario si lasciò cadere a terra nell'unico angolino libero dai rotoli.
- Bene, cominciamo - ordinò il padrone, mettendoglisi accanto. - Guarda, guarda... qui c'è uno che è nato a Forum Galiorum, e racconta di aver incontrato Chelidone in gioventù...
- La cortigiana Quintilla si vanta di averlo frequentato intimamente.
- Una lavandaia di Mutina sostiene che Chelidone le doveva dei soldi per il bucato...
- Non è tutto, Castore, ascolta questa:
Septicio Rustico a Publio Aurelio Stazio.
Illustre senatore,
voi a Roma non siete mica tanto furbi, che credete a tutto. Il Chelidone, vi dico io che si chiama Placido e lavorava a Mutina, dal cordaio Spurio, e gli ha fatto un sacco di guai mettendogli anche incinta la serva.
Lo so bene io, perché detto Spurio è mio cognato, cioè sarebbe a dire che ha sposato mia sorella Decia, e adesso sta qui a Bononia, e la ricompensa gli farebbe proprio comodo, perché hanno quattro figli e di corde se ne vendono poche.
- Altro che l'eroico prigioniero di guerra, unico sopravvissuto allo sterminio del suo villaggio... si era proprio costruito una bella storia! - fischiò Aurelio.
- E senti qua, domine - incalzò Castore. - C'è addirittura la lettera di una certa Placida, una popolana di Forum Gallorum, che chiede quando Sergio Maurico si deciderà a rimetterle le proprietà del fratellastro Chelidone, di cui è unica erede.
- Niente male, niente male... - fece il patrizio con soddisfazione.
Due ore dopo, spoliata tutta la corrispondenza, Aurelio e Castore erano in possesso di una biografia particolareggiata del campionissimo dell'arena: nato a Forum Gallorum col nome di Placido, si era presto trasferito a Mutina. Libero e cittadino romano, fin da piccolo era stato la disperazione della madre: dopo aver cambiato parecchi lavori - cordaio, carrettiere, fruttivendolo, facchino - Placido aveva tentato la strada dell'arena, con pieno successo. Da allora, a Mutina non aveva più messo piede, premurandosi però di far pervenire una certa somma mensile alla sorella, che versava in preoccupanti difficoltà finanziarie.
E tutto questo Sergio Maurico doveva saperlo bene, visto che era lui che si occupava di inviare i soldi alla famiglia...
- Hai di che sbizzarrirti, domani sera – commentò Castore.
- Sì, ma prima... scommetto che c'era qualcun'altro al corrente di questa storia. Ricordi quel Turio, in caserma? Credo che andrò a fargli visita!
In quell'istante, Paride comparve sulla soglia, con atteggiamento di grande deferenza.
- Domine, una visita per te - annunciò, e il tono mancava del consueto accento di disapprovazione con cui l'intendente manifestava il suo biasimo per la gente stravagante e poco consona alla dignità senatoriale che il padrone amava frequentare. - È un signore distinto, molto ammodo - proseguì, senza celare la sua meraviglia. - Un commerciante, forse, o l'agente di qualche compagnia. Mi sono permesso di farlo accomodare nel tablino.
Per Hermes immortale, ci mancava solo un appuntamento di affari, pensò Aurelio, senza aver l'animo di rimproverare per la seconda volta in una mattina lo zelante amministratore.
Ma Paride, stavolta, aveva preso un grosso abbaglio nel valutare l'importanza del visitatore: nel tablino, sullo scranno d'onore, sedeva il gladiatore Gallico, intento a sorseggiare un calice di ottimo vino.
- Senatore, mi spiace di averti disturbato, ma è accaduta una disgrazia e ho creduto bene di venire ad avvertirti: chiunque altro che provenisse dalla caserma, non sarebbe riuscito ad andare oltre il vestibolo di casa tua, con quel cerbero di intendente che ti ritrovi...
- Quale disgrazia? - tagliò corto Aurelio, indisposto dal tono cerimonioso del celta.
- Un malaugurato incidente occorso a un atleta.
- Non mi meraviglia: molti di voi lasciano la pelle nelle esercitazioni.
- In questo caso le circostanze sono un po' diverse. Abbiamo trovato Turio morto, in una cella serrata dall'interno con un pesante chiavistello...
- Turio! Per Giove Ottimo e Massimo, non ci voleva; andiamo a vedere immediatamente! - ordinò il patrizio, soffocando un gesto di rabbia.
Pochi minuti più tardi, i lettighieri correvano verso il Ludus Magnus ad andatura sostenuta.
- Senatore, sono rovinato! - lo accolse il lanista Aufidio, agitato. - Qualcuno ha lanciato una maledizione sui miei migliori atleti; guarda cos'ho trovato nella cella di Turio! - gridò, indicando con terrore un pezzo di legno scuro, dalla forma vagamente ovale. Aurelio lo raccolse, osservandolo con attenzione: sul legno dipinto era stato rozzamente intagliato il profilo di un occhio, in mezzo al quale due cerchi neri, identici, parevano fissarlo con malevolenza.
- Vedi, le due pupille! La baskina, il fascino, il malocchio, insomma! I miei gladiatori muoiono senza ragione apparente... c'è di mezzo la magia, ti dico! Attento, senatore, non toccarlo! - urlò il lanista, mentre Aurelio, che non credeva agli incantesimi più che agli dei, faceva sparire con la massima indifferenza il terribile maleficio sotto le pieghe della tunica.
- L'hanno commissionato a uno stregone! Ci sarà sotto lo zampino di qualche scalmanato, uno di quegli stoici che contestano i ludi in nome di qualche stupida teoria umanitaria: provocatori, vigliacchi pacifisti assoldati dal nemico per attentare alle virtù marziali dell'Urbe! - inveì Aufidio.
Il patrizio, senza ascoltarlo, si diresse rapido allo spoliarium, dove il medico Crisippo lo attendeva, chino sul cadavere.
- Anche stavolta nessuna ferita, salvo questo piccolissimo graffio sul collo... - dichiarò il cerusico.
- Lo stesso segno che aveva Chelidone! – esclamò Aurelio. - Altro che malocchio! Incidi quella ferita, Crisippo: forse riusciremo a capire come sono stati uccisi!
Il medico prese un bisturi sottile e cominciò a lavorare sull'escoriazione. A un tratto si fermò, cauto.
- Trovato qualcosa? - chiese il senatore, speranzoso.
- Sì, un corpo estraneo, una piccola scheggia infilata in profondità. Devo andar piano, potrebbe rompersi – rispose Crisippo, avvicinandosi al taglio con un paio di pinze di precisione. - Ecco, guarda: una punta sottilissima, di metallo.
- Avvelenata... Riesumiamo il cadavere di Chelidone, forse troveremo qualcosa di simile - propose subito Aurelio.
- È arso sulla pira funebre, e i resti sono stati dispersi - lo deluse Crisippo.
- Per la barba di Zeus, non potevi guardarci meglio, la prima volta? - sbottò il patrizio, irritato.
- Eri qui anche tu, senatore, se non sbaglio; e non me l'hai chiesto - si giustificò il medico, risentito.
- Fammi vedere quell'ago: è troppo corto per essere stato scagliato da un arco, eppure è penetrato tanto a fondo da essere invisibile dall'esterno... come può essere accaduto?
- Non chiederlo a me, nobile Stazio; di esperti in armi ne hai quanti vuoi, là fuori. Io sono un medico – affermò Crisippo, lavandosi accuratamente le mani nell'aceto.
Tuttavia nessuno, nella caserma, fu d'aiuto al senatore.
- Qui usiamo il gladio e la sica, magari la lancia o il tridente, ma non il veleno! I miei ragazzi sono professionisti, ammazzano senza trucchi, da onest'uomini, mica con questi sistemi subdoli! - si scandalizzò Aufidio.
- Fare vedere la freccia! - chiese Ercole, allungando una manona pelosa.
- Non importa - escluse Aurelio. Con quella zampaccia goffa, il gladiatore sarmata non avrebbe neppure saputo tenerla in mano, una punta così sottile, figuriamoci maneggiarla con cautela...
- Senatore, dimenticavo... - borbottò il lanista, imbarazzato. - Turio, ieri, aveva domandato di vederti.
- Per Diana, e tu non mi hai fatto avvisare? – esclamò Aurelio, al colmo dell'esasperazione.
- Non ho ritenuto necessario recar disturbo a una persona della tua importanza per la richiesta di un semplice reziario: gli ho detto che avrebbe potuto parlarti quando fossi tornato a proseguire le indagini - balbettò Aufidio, con fare contrito.
- Imbecille! - tuonò il patrizio. - Hai aspettato che gli chiudessero la bocca!
Il lanista abbassò gli occhi, reprimendo uno scatto d'ira. Adesso quel magistrato borioso avrebbe parlato con Claudio, e addio incarico...
- Mostrami la cella dov'è stato trovato il corpo! – ingiunse Aurelio, scostandolo in malo modo.
Pochi istanti dopo, era in una squallida stanzetta, arredata in modo alquanto spartano, con una cassapanca per gli abiti e le corazze. La feritoia in alto, unica apertura del bugigattolo, era chiusa da una fitta grata di metallo.
- L'avete trovato sul letto? - chiese.
- In terra, sdraiato lì, sotto la finestra - rispose Aufidio.
Aurelio valutò rapidamente la distanza dall'apertura: troppa perché un braccio, anche lungo, avesse potuto raggiungere Turio dall'esterno. Avvicinandosi, saggiò la robustezza della maglia di ferro della grata, che si presentò ben solida; per di più, a giudicare dalla rete di ragnatele che pendeva tutto attorno, sembrava non fosse stata rimossa da tempo.
All'improvviso, dietro la porta si scatenò un grosso baccano.
- Lasciatemi passare! - insisteva una voce acuta e stridula.
Aurelio si precipitò ad aprire: ci mancava solo che delle guardie ottuse si mettessero a far da filtro tra lui e le confidenze dei gladiatori!
- Finalmente, senatore! - gridò Arduina soddisfatta, non appena il patrizio l'ebbe fatta entrare.
- Accomodati, prego - la invitò cortesemente Aurelio, liberandola della lancia leggera e dell'elmo. Gladiatrice o no, era sempre una signora, e come tale andava trattata. Tuttavia, malgrado i buoni proponimenti, la cosa non gli riusciva per nulla agevole, né la donna, coi suoi modi rozzi e mascolini, contribuiva a facilitargliela.
- Ti ascolto - disse il senatore, attento, nella convinzione di star per apprendere qualche importante rivelazione.
- Che ne è del tuo servo? Si è presentato qui, un giorno, con un bel regalo per me. Aveva promesso che sarebbe tornato... - Gli occhietti rotondi della gladiatrice si accesero di una luce concupiscente.
Numi, due cadaveri all'obitorio, e la virago veniva a spasimare per Castore! Aurelio stava per risponderle in malo modo, ma si trattenne: non era il caso di indisporre la britanna; si era visto nell'arena cos'era capace di fare...
La rassicurò con vaghe promesse, avviandosi nel contempo verso i quartieri del lanista.
- Aufidio! - comandò. - Sospendi tutti i combattimenti e le esercitazioni dei reziari: non voglio trovarmeli sbudellati prima della fine dell'inchiesta! E lo stesso valga per Quadrato!
- Ma come, doveva andare in scena domani! L'avevo destinato allo scontro con le belve, sperando di liberarmi di lui una volta per tutte: non vale quello che spendo per mantenerlo!
- Riposo assoluto anche per Arduina, la voglio in forma... - aggiunse Aurelio, rivolgendo un pensiero malizioso a Castore.
- Mi farai fallire! - piagnucolava il lanista.
- Preferisci forse che Cesare si convinca che non sai sorvegliare a dovere i suoi atleti? Questi uomini appartengono a Claudio, non scordartelo, e tu ne sei responsabile - gli rammentò il patrizio, mentre usciva nello spiazzo.
Le esercitazioni erano ancora in corso. Un servo si avvicinò al gruppo di lottatori che stavano rischiando le gambe sull'infernale pertica e dette il segnale di arresto.
Quadrato, con un sospiro di sollievo, andò a sedersi esausto sulla panca: un sorriso beato e attonito gli andava da un orecchio all'altro.
- Incredibile! - esclamò. - Domani niente gare! Avrei dovuto affrontare una fiera selvaggia... Si direbbe che lassù, sull'Olimpo, qualcuno mi protegga!
- O sull'Olimpo, oppure qui, sulla terra - rise il patrizio, battendogli la mano sulla larga spalla contadina.
- È la seconda volta che la Dea Fortuna mi bacia in fronte. Non voglio illudermi, ma a volte mi viene l'idea che potrei anche farcela, a salvare la pelle... - sussurrò Quadrato, ancora incredulo.
- Tutto è possibile, persino che tu divenga un eroe – lo incoraggiò Aurelio.
- Se dura, senatore... - sospirò Quadrato, accompagnandolo alla portantina.
I nubiani, neri come la pece, scattarono in piedi non appena videro il patrizio dirigersi verso di loro.
- Aspetto il tuo bel segretario! - gli ricordò Arduina mentre saliva. - Portagli i miei saluti!